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fecero di pubblica ragione intorno all'opera di Scherer (1).

Ad investigare la varia funzione, la varia sorte dei pronomi personali nella formazione dello attivo e del medio lo Scherer prende le mosse dalla legge fonetica seguente: «<l'a atono di monosillabi già indipendenti che si fusero col loro tema verbale o nominale in unità di parola va spesso perduto senza lasciar traccia di sè » (2). Indi avvenne, giusta il nostro autore, che, v. g., in greco si dileguò la vocale finale a del tema pronominale sa nella 2a singolare dell'aoristo attivo -on-5 (dal proto-ario á-dha-sa, in cui tale a è privo d'accento), mentre si conservò, trasformato in 0, nella forma media corrispondente, e-0-0 (da *-0e-σ0 = primit. a-dha-sá, in cui l'a onde si tratta è accentato). Altro esempio citato dallo Scherer è il sanscrito dvik-šé proto-ario dvik-sá-i (3) = dvik-tvá [si odia te, tu sei odiato], antico passivo che si fuse col medio ed unì in sè l'uno e l'altro significato. Dunque nel passivo la espressione della persona non era diversa da quella dell'attivo se non nell'accento: il pronome atono denotava l'attivo, l'accentato il passivo; l'a finale del primo andò perduto, quello del secondo si conservò per la legge fonica sopraccennata (4). - Nello i finale che nel presente attivo tien dietro ad a (v. g. in dvik-sá-i proto-ario sscr. dvik-šé) Scherer scorge, come prima di

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(1) V. anche la Revue critique d'histoire et de littérature, anno 3o, 2o semestre, pp. 354-7.

(2) A ragione nota il Kuhn che questa legge non è dimostrata da Scherer. (3) Dell'i finale di questa forma e delle analoghe si farà cenno fra poco. (4) A questa dottrina di Scherer furono mosse da A. Kuhn le seguenti obbiezioni: 1o tra ễ-0ŋ-5 ed ë-06-0, á-dhá-sa ed a-dha-sá v’ha un divario, che converrebbe spiegare, nella quantità della vocale radicale; 2° l'o greco finale non rappresenta un primitivo a finale schietto; 3° il sa nella forma passiva. debb'essere accusativo, e questo suona in greco σe, non *oo; 4° come mai l'o a primit. sarebbe rimasto anche dopo che l'accento era passato sopra altra sillaba? A queste noi dobbiamo aggiungere tre altre osservazioni: 1o essere

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lui Boller e F. Müller, un'« aggiunta indicativa (deiktischen zusatz) » destinata a mettere in rilievo la persona, o piuttosto una particella locativa, oltre a cui Scherer nota anche -am: l'i preaccennato si sarebbe aggiunto al presente e futuro attivo, al presente e perfetto passivo dopo che era già avvenuto il dileguo dell'a finale (1). Quindi l'-ai finale medio ci offre il solo -a come vero suffisso personale. A questo a debbe manifestamente essere identico l' finale della «< prima coniugazione principale » nelle lingue arie di occidente ed in più forme dell'antico eranico: oltre a questo -ā troviamo, in varie forme e lingue del nostro stipite, come suffissi della 1a singolare -i, -ma, -ăn-, -am. Ora, come -m ci riconduce a -ma, così -am ad -ama, forma primitiva, ed abbiamo, secondo Scherer, la serie -a, -ma, -ama, vale a dire il pronome a (che in sanscrito è un dimostrativo di vicinanza e costituisce lo aumento), il suo superlativo a-ma, e, per aferesi, ma, onde mi (2). Conseguenza naturale di tali premesse è il negare che la coniugazione in -a derivi da una più antica in -mi e lo affermare che il divario fra queste due coniugazioni è primitivo, contro lo insegnamento dei più autorevoli fra i recenti glottologi: concetto a cui del resto Scherer era già stato condotto da altre considerazioni (3).

assai difficile concepire per qual cagione l'ultima sillaba nella forma menzionata e nelle altre simili ad essa abbia perduto l'accento; 2o non potersi accogliere la teorica dello Scherer senza ammettere nel medio-passivo due formazioni ben diverse fra loro; 3o il significato medio doversi in tal caso, giusta il nostro autore, derivare dal passivo, mentre siamo avvezzi a vedere il fenomeno contrario.

(1) Intorno a questa ipotesi si faranno le necessarie considerazioni quando si parlerà della monografia di F. Müller Zur suffixlehre des indogermanischen verbums.

(2) Ma perchè, chiede Kuhn, non si ha la forma intera e più commoda - ama? Perchè il concetto dell'io sarà stato espresso ora con un positivo, ora con un superlativo? E può ammettersi come certa la esistenza di un suffisso della singolare costituito da un a?

(3) V. p. 173 e segg.

Contro quest'asserzione di Scherer fu osservato

Dalla flessione verbale passando alla nominale giova menzionare le otto forme d'indicazione del plurale che allo Scherer parve scorgere nell'ario primitivo e fondamentale. Esse sono: 1o il raddoppiamento; 2° il rinforzo della vocale del suffisso di derivazione; 3° l'aggiunta di -sma; 4° quella di -a (-ā); 5o d'-î, -i; 6o di -sas (da sva-s=sma-s); 7° di -as; 8° plurali senza segno del numero, dei quali ci restano esempii in forme vediche (1). Queste otto forme si trovano, osserva lo Scherer, quasi tutte nella declinazione con un altro valore, ossia come casi (2). E qui il nostro autore sottopone all'analisi i suffissi dei casi. Nello -sma (che nota in dativi, ablativi, strumentali, locativi, talora sotto la forma -sva) egli scorge il superlativo della radice sa indicante unione: lo stesso concetto egli crede rappresentato dal suffisso -bhi del dativo, ablativo, strumentale e dal suffisso -a formatore di strumentali ed anche di locativi e di congiuntivi. Non è, non può essere punto intendimento nostro seguire l'autore nell'analisi di tutti gli altri elementi della flessione intorno ai quali si travaglia: secondo ogni probabilità il lettore non ci terrebbe dietro in tal labirinto. Ma non possiamo astenerci dal notare, per ragioni che appariranno ben presto a tutti manifeste, come lo Scherer insista nel porre in rilievo i rapporti secondo lui esistenti tra suffissi di casi ed il numero plurale ed in ispecial guisa le relazioni fra questo numero ed il locativo, affini l'uno all'altro

dal Kuhn 1° che ad un'-a finale primitivo (1a pers. sing.) non potrebbe rispondere un -w greco; 2° che nemmen tutte le lingue arie di Europa ci offrono distinte fra loro le due coniugazioni, perchè le favelle litu-slave o col conservare il m, o col ritenerne almeno un avanzo nell'a finale ci ricordano la provenienza della coniugazione in -a da quella in -mi.

(1) Come opportunamente avvertì il Kuhn qui si tratta per lo più soltanto del nominativo e dello accusativo plurale.

(2) Ciò ha luogo, osserva l'eminente glottologo sì spesso citato in queste note, perchè tale è il loro valore primitivo.

in ciò che, giusta l'autore, accennano entrambi una quantità indeterminata (1). Nè il desiderio nostro di far conoscere agli studiosi la natura dello ingegno di Scherer ci permette di passare sotto silenzio la spiegazione da lui proposta del -s suffisso del nominativo singolare maschile e femminile. « Esso debbe », così il nostro autore, «< in antitesi al morto neutro indicare il vivente ». V'ha in sanscrito un maschile ásu [soffio vitale, vita], onde un locativo ásău [in vita, che trovasi in vita, vivo]. Ora ásu, in quanto significa vita, pare un nome d'azione dalla radice as [dimorare, esistere, essere]: pertanto allato ad ásău è possibile un locativo asa di pari significazione formato mediante il suffisso -a dalla radice as. Da sì fatto asa può facilmente, per quanto attiensi ai suoni, aver tratto origine il -s del nominativo singolare: chè da asa per aferesi procede sa, il quale dopo essersi fuso con un tema di nome può aver perduto l'a finale. Il significato corrisponde perfettamente. Ma, chiede Scherer, come mai il locativo determinativo si trasforma nel nominativo di un dimostrativo? Accanto al tema pronominale sa, egli risponde, pare aver esistito la forma as: indi un nominativo asá, sa, che probabilmente nel senso glottico si confuse col locativo determinativo della radice as. Nel locativo asa non altramente che nel locativo ásău non si seppe più scorgere che un pronome (2). - I suffissi dei casi, prosegue lo Scherer dopo altre considerazioni che non possiamo riferire, sono

(1) V. p. 314. Il locativo, segnando un punto indeterminato, una parte non definita di un oggetto, fa concepir questo come un tutto in ordine ad una cotal parte, destando così l'idea di quantità senza limiti noti.

(2) Asău, nota Kuhn, non ha il senso attribuitogli da Scherer: esso indica piuttosto ciò che appartiene all'altro mondo. V. anche le altre osservazioni dell'egregio critico nella recensione citata intorno a questa ipotesi Schereriana, che abbiamo esposta per mettere sempre più in rilievo la indole intellettuale dell'insigne glottologo tedesco e per mostrare con un esempio non comune, quanto possa anche in linguistica la fantasia!

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preposizioni in forma radicale. La preposizione è appunto lo elemento che indica la speciale maniera di relazioni cui i più tra i casi hanno a significare. Da particelle con senso di luogo traggono origine e pronomi e numerali: esse vengono adoperate come suffissi di casi. Dichiarata in tal guisa la genesi di essi, lo Scherer li cerca anche là ove non siamo avvezzi a scorgerli e s'immagina di scoprire il suffisso del locativo nell'-ά finale dei nomi d'agente, nell'ā e nell'i vocali di composizione, nel gerundio in -ja, nel participio futuro passivo, in parecchi temi nominali ed anche nella terza persona singolare e plurale. Dopo averne enumerati i suffissi Scherer si propone d'investigare il nesso che a parer suo debbe congiungerli fra loro. «Non sono forse ant, ans, ra, ta suffissi participiali? Non sono forse a, i, ra, ta, s (as) suffissi di caso locativo, o, che è lo stesso, di caso ablativo? Non dovremo noi pertanto dichiarar tali, nel senso delle nostre precedenti disamine, anche ant, ans? Che abbiamo noi dunque in essi tutti se non desinenze di locativi o combinazioni di esse, o, in altre parole, particelle di luogo. posposte? » (1). In tal guisa lo Scherer cerca e si lusinga di scoprire l'unità nella flessione dell'ario!

(1) A buon diritto osserva il Kuhn che il ragionamento dello Scherer non può aver forza di convincere, dovendosi esigere prove speciali per tutte e singole le forme della terza persona di cui si discorre. Oltracciò, prosegue il Kuhn, sì fatta persona non può connettersi in parecchi casi, per ragioni fonetiche, come locativo nè col participio presente, nè col participio passato (dal quale del resto la divide anche la differenza del significato): cfr. sscr. dvěšti con dvišant-, gr. túntei con тUπтоνт-, lat. amat con amant- ecc. Infine, avendo già spiegato il participio presente in -ant- come un locativo a cui si sarebbe aggiunto il suffisso dello ablativo (= locativo), se da questo participio presente noi vogliam credere derivate le terze persone con suffissi di caso locativo, avremo evidentemente in esse non meno di tre volte espresso questo caso: quindi dovremo concludere che gli Arii primitivi per dire egli conosce abbiano adoperata una locuzione equivalente a conoscere + in + in + in! Degne di nota sono eziandio le considerazioni critiche di Steinthal (1. c.) intorno al locativo Schereriano. Come mai, chiede lo Steinthal, come mai potremo noi credere che più casi siansi svolti dal locativo, mentre, quanto

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