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stipite. Come c'insegna l'Ascoli, la concordanza indo-eranolitu-slava è generale sì in ordine agli esemplari in cui si è ridotto il k antico a suono sibilante, sì in ordine a quelli in cui si è conservato, mentre « è.... estranea al gruppo italico, al greco, al celtico e al germanico, ogni coincidenza proetnica di una loro sibilante qualsiasi con la sibilante indoirana (c) per k originario. Le coincidenze, che pur v'hanno, son qui..... manifestamente accidentali, `dovute, cioè, a congruenza patologica e non a continuità istorica » (1). Questa << speciale somiglianza tra l'indo-irano e il litu-slavo, che affatto ripugna di considerar fortuita », non si può, scrive l'Ascoli, dichiarare se non in due modi: o supponendo lo intacco avvenuto in un periodo di unità pre-istorica indoerano-litu-slava (ipotesi cui sembrano dar rincalzo alcuni fatti fonici e lessicali, ma soggetta ad obbiezioni gravissime); ovvero immaginando che il k originario leggermente affetto da una fricativa parassita (2) « in un determinato numero di esemplari, sin dal periodo proto-ariano, si venisse poi liberando, in alcune favelle, di questo intacco, ed in altre, all'incontro, per conforme sviluppo dell'antica affezione, subisse trasmutazioni conformi, le quali rappresenterebbero effetti consimili, ma tra di loro indipendenti, di una medesima causa. In questa ipotesi, il vocabolo per dieci, a cagion d'esempio, avrebbe suonato, nel periodo unitario, con leggero intacco del k: dakia; donde, dall'una parte, il tipo daka,

(1) Corsi di glottologia ecc., I, 5o.

.....

(2)« Tra le più frequenti affezioni delle consonanti originarie, è nel sistema ariano l'abbarbicarsi che fa, dietro ad alcuna di esse, una fricativa parassita, ed in ispecie j (nj, lj, kj, ecc....) intanto qui avvertiremo, sulle generali, come la origine di queste che diciam parassite stia veramente in ciò, che nel passar dalla disposizione orale, che è richiesta per la produzione di una determinata consonante, alla diversa disposizione che è necessaria al proferimento del suono che sussegue, ed è di regola una vocale, si rasenta o si consegue quella, per la quale si produce la fricativa che diciam parassita...... ». Op. cit., p. 43.

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k

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quasi il tipo risanato, a cui risalirebbero il greco, l'italico, il celtico, il germanico; e, dall'altra, il tipo dakja, colla parassita invadente, al quale riverrebbero..... le due voci in cui è la sibilante, che son la litu-slava e l'indo-irana » (1). E questa pare all'autore <«< ipotesi più cauta che non l'altra », sebbene non dissimuli punto un'obbiezione che le si può muovere.. La 2a equazione suona così: sscr. e z. gr., lat., lituslavo k; come appare dal sscr. e z. ruk=gr., λeuk(ó-g), lat. luc(-s), dal sscr. kaka- [capellatura] = bulg. kůků ecc. La compiuta concordanza tra sanscrito e zendo nella serie degli esemplari per primitivo k ci mostra che tale k risale a periodo pre-indiano, ossia alla età indo-erana. «< Non v'ha, all'incontro, rispetto al fenomeno di k indo-irano per k originario, alcuna consuonanza europea, di cui si possa presumere che stia in connessione genealogica con esso; non v'ha cioè alcun fatto, che ci possa indurre a stimar consumata quest'alterazione in epoca anteriore al compiuto distacco della favella ariana dell'Europa da quella dell'Asia, comechè vi abbiano singolari coincidenze quantitative (non qualitative).... le quali ci portano a credere che il k originario, fattosi poi k indo-irano, fosse intaccato, scosso, in un certo numero di esemplari, sin da periodi di gran lunga più remoti che l'indoirano non sia, ma non però fosse ancora, in questi periodi, distintamente alterato » (2). Ed ora ci si fa innanzi la 3a equazione: sscr. e z. K= gr. - lat. kv litu-slavo k; della quale sia esempio il sscr. Katvar-, z. kathwar-, cfr. gr. téoσapes (*kýethvar-, *τzeeFap (3))=lat. quatuor, gr. eol. πéσ

k

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(1) Op. cit., pp. 56-7.

(2) Op. cit., pp. 48-9. Quindi nel prospetto dato a p. 193 il k' indo-erano, a cui in greco, in latino ed in litu-slavo risponde un k inalterato, viene riferito ad un tipo ki seriore.

V

(3) Nel libro dell'Ascoli lo rappresenta un suono identico a quello del j francese: il risponde allo sc italiano, v. g. in scemo. V. pp. 13 e 22.

σuρeç (**рethvor-, *πεOFʊρ-), britone petuar, osco petor-a, umbro petur-lit. keturì, irlandese cethir (1). In questo esemplare ed in altri quattro « non rinveniamo, dall'un canto, alcuna sicura traccia del v nei termini asiani, nè abbiamo, dall'altro, alcuna ragione che ci porti ad affermare o pur ci renda inchinevoli a credere che il v sia parte etimologica, vale a dire originalmente costitutiva della parola. Qui il v sarà quindi una parassita, di natura non dissimile dalj parassiticó, che a suo luogo (§ 14) vedemmo ugualmente svilupparsi dietro alla tenue gutturale originaria; ma tuttavolta sarà anch'esso un v di radice assai antica, e basterebbe a persuadercene il concordar che fanno più favelle europee nel risalire in questi stessi esempj ad un antico kv. Al che si aggiunge il fatto assai notevole, che essi tutti ritrovino, nella risposta indo-irana, non già il k intatto, nè lo e̱, che è il più frequente continuatore indo-irano della tenue gutturale originaria nel quale i continuatori europei s'imbattano, ma bensì il solo k, che è il più insolito (§§ 11, 12). La quale coincidenza, rinfiancata eziandio da altri ragguagli..., ···, persuade che qui si tratti... di k originarj che fossero intaccati sin dall'età indo-europea, ma il fossero per modo indistinto, sì che lo sviluppo dell'affezione si venisse poi, nelle età successive, in varie guise determinando. Se quindi nel considerare la sibilante che in favella indo-irana e in litu· slava si ha per succedaneo della tenue gutturale originaria (p. 56), venimmo a proporre l'esempio-tipo dak'a ([dieci]; onde: dakja dakza daša daça), ora, per gli esempj a cui siamo, avremmo a raffigurarci un esempio-tipo che si potrebbe scrivere k'atvar- [quattro], la cui incerta parassita (quasi un u greco) riuscisse ad assumere tra gl'Indo-irani, in un'epoca relativamente moderna, la pronuncia palatina

(1) Op. cit., p. 92: cfr. pp. 77, 73, 53.

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(kjatvar-, donde katvar-, éatvar-, v. p. 44), e tra gli Europei, all'incontro, o almeno tra quelli i cui idiomi qui ripercuotono un antico kv, si fissasse, di regola (v. § 21), in pronuncia labiale od in labio-dentale (kuatvar- kvatvar-, onde quatuor e **bator ecc.) (1). Di questa guisa avremmo in favella indo-irana il pieno sviluppo, ma di certo non coevo, di amendue le affezioni (dak'a daça; k'atvar katvar), le quali si risolverebbero in un'affezione medesima a doppio effetto; e lo sviluppo katvar kjatvar sarebbe venuto a coincidere collo kj (k da k) surto di sana pianta nel periodo indo-irano mentre nella sezione europea avremmo il tipo dak'a risanato per tutto altrove che in favella litu-slava, e i poco numerosi esemplari del tipo katvar, all'incontro, risanati appunto in favella litu-slava (p. es. lit. keturì........), come per diversa ragione risanano pur nella ibernia..., e a volte..... anche altrove >>> (2).

....

Non punto dissimile è la storia che l'Ascoli tesse della media gutturale (g) e dell'aspirata gh: delle quali colla ipotesi testè accennata ci spiega le varie vicende nelle arie favelle. Possiamo pertanto passarle sotto silenzio in questo nostro breve lavoro e procedere senz'altro a considerazioni critiche intorno alla esposta dottrina Ascoliana.

Esordiamo colle seguenti parole di quel valente glottologo e mitologo che chiamasi M. Bréal: « Noi non conosciamo, in fonologia, esempio di un suono che, dopo essersi alterato,

(1) Il gruppo fonico kv, per lo progressivo mutarsi del suono continuo v in esplosivo labiale sordo sotto la influenza del suono sordo esplosivo precedente, cui esso ecclissa, si trasforma gradatamente in kb, kp, pp, p: indi, accanto al qu latino, il p greco, osco, umbro e britone. V. op. cit., pp. 71-8.

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(2) Op. cit., pp. 84-5. La miglior conferma del ky — kv europeo e kj (k) asiano, è, per Ascoli, il τ gr. kj da ky, allato a πky da ky: «....... il prodotto di kj, giunto a quello stadio in cui la tenue gutturale è ridotta a tali condizioni che mal si discerne dalla tenue dentale (ký tý, pp. 44-45), ad esso si sarebbe fermato, e a poco a poco se ne sarebbe dileguata l'appendice palatina o linguale, sì che rimanesse t al posto del k originario » (p. 92).

abbia fatto ritorno alla sua primiera purezza; inoltre l'ipotesi dello Ascoli non vale che a spostare il problema, perocchè, s'ella ci mostra per qual causa l'alterazione esista nelle medesime parole in islavo ed in sanscrito, non ci fa comprendere la cagione per cui la guarigione ebbe luogo uniformemente in latino, in greco, in gotico, in celtico » (1). Altra obbiezione viene mossa dallo stesso SchweizerSidler, il quale avverte come lo insegnamento Ascoliano, di cui ora si tratta, mal si possa conciliare colla dottrina di una speciale affinità dello slavo-lituano col tedesco, dottrina propugnata da A. Schleicher e da' suoi più valenti allievi (2). Anche il Jolly biasima la ipotesi dello Ascoli, giudicandola troppo complicata: << tanto i simboli da lui scelti per indicare le due affezioni ch'egli attribuisce al k primitivo, ki e k", quanto eziandio la ipotesi stessa di una mera affezione in luogo di una primordiale dualità dell'antico k sono artificiosi, e questa ultima supposizione lo trasse quindi alla opinione anche più inverosimile che il k malato sia in alcune lingue stato restaurato, guarito ». Oltracciò, segue il Jolly, per qual causa avrebbe mai il k prodotto dopo sè un suono parassitico? (3). Windisch ammette la trasformazione di k in ki, almeno come espressione di mutamento di k2 in k1 (dei quali simboli sarà fatto cenno ben presto): ma crede tale fenomeno avvenuto senza parassite. «< Fisiologicamente considerato esso consiste solo in una lieve alterazione: la chiusura, formata dal dorso della lingua col palato nella produzione della gutturale, viene a poco a poco dalle parti molli posteriori di quello spinta sempre più avanti.

(1) Revue critique d'histoire et de littérature, anno 5o, 1o semestre, pp. 357-61.

(2) Zeitschrift f. vergl. sprachforschung, XXI, 257-66.

(3) Noch einmal der stammbaum der indogermanischen sprachen (Zeitschrift für völkerpsychologie und sprachwissenschaft, VIII, 190-205).

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