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Corsi dell'Ascoli egli apprende che tra i due k non vi ha sempre divario ben segnato nemmeno nello indo-erano e nello slavo-lituano. Pertanto lo svolgimento di k in kj (sscr. f, sl. s, lit. sz) era ancora incompiuto quando esisteva rapporto di continuità fra l'indo-erano ed il litu-slavo: assai meno compiuto doveva essere evidentemente durante il periodo ben più antico dell'unità aria primitiva. Oltracciò, osserva il nostro critico, ad ogni tenue proto-ariana sta accanto una media con un'aspirata: così abbiamo t, d, dh — p, b, bh. Quindi, se si dovesse ammettere un doppio k primitivo, si avrebbe ad attendere eziandio un doppio g ed un doppio gh proto-arii, anche per ciò che gl' idiomi indo-eranici e gli slavo-lituani hanno suoni che potremmo considerare come discendenti dai sei suoni preaccennati, ossiano i sscr. k, g, gh, he f, g, h, i paleo-bulgari k, ges z, i lit. k, ge sz, z. Ora il Fick è ben lungi dal voler dimostrare nell'ario primitivo e fondamentale l'esistenza di una doppia media e di una doppia aspirata, rispondenti alla supposta doppia tenue k. Infine, se il k. Fickiano (= indo-eran. ç, sl. s, lit. sz) rispondesse al k puro (non kv) delle altre lingue europee, ne risulterebbe logicamente che le medie e le aspirate indo-eraniche e lituslave di questa tenue dovrebbero nelle altre favelle europee venir rappresentate da g, gh non mai alterati in gv, ghv: la qual cosa non si può certo asserire.

Il Bezzenberger ne' suoi cenni critici intorno alle seconda parte, testè pubblicata, dell'opera di G. Schmidt Zur geschichte des indogermanischen vokalismus (1) ha espresse intorno all'argomento, di cui stiamo trattando, certe opinioni, che non ci pare opportuno passar sotto silenzio. « Nella lingua fondamentale litu-slava », così egli scrive,

(1) Göttingische gelehrte anzeigen, 1875, pp. 1313-44

<< non vi ebbe punto sin da principio una sibilante in cambio del k primitivo, od un tralignamento del medesimo, qual è o presuppone il sscr. f, ma venne riflesso da uno schietto k. Ciò risulta: 1° dall'essere rappresentato da uno schietto è nelle altre lingue europee, 2° dal fatto che questo k si è conservato in alcuni casi » (1). Se in alcuni casi, egli osserva, « lo svolgimento della sibilante da k, è fenomeno di meno antica origine, può essere tale in tutti i casi » e fortuito. Perciò la concordanza del sscr. ed ant. battr. e collo sl. s e col lit. sz è priva affatto d'importanza (2). Si fa poscia ad esaminare alcune dichiarazioni etimologiche da G. Schmidt opposte a Fick, che a lui sembrano di dubbio valore. Assai dubbio gli pare eziandio che ad ogni tenue debba stare allato una media ed un'aspirata, come reputa lo Schmidt, e cita ad esempio la labiale media sì rara e di esistenza sì poco dimostrata nell'ario fondamentale (3).

Da questa nostra esposizione appare pertanto come, malgrado degli sforzi dell'Ascoli, del Fick e di qualche altro glottologo, la storia del k proto-ariano non sia stata ancora illustrata per guisa da dileguare ogni oscurità. Alla soluzione definitiva di tale problema occorrono ancora nuovi studi intorno ai continuatori del suono preaccennato. E delle nuove ricerche i risultati saranno utili alla glottologia assai più che molti non credano, perciò che il problema, di cui sino ad ora abbiamo discorso, si connette intimamente, come si

(1) Windisch, Beiträge ecc., VIII, 29.

(2) Del secondo argomento siano giudici i più autorevoli cultori degl'idiomi litu-slavi. Ma, per ciò che attiensi al primo, ci si conceda osservare ch'esso non può aver valore se non nella ipotesi di una lingua europea fondamentale, la cui esistenza, come vedremo nella seconda parte di questo libro, non è stata ancora provata in modo che pienamente risponda alle severe ma giuste esigenze della nuova glottologia.

(3) Schleicher, Compendium ecc., Weimar, 1866, p. 164 (p. 84 della nostra versione, Torino-Firenze, 1869).

vedrà più tardi, con quello delle affinità speciali che generalmente si reputano esistere tra varie famiglie dello stipite glottico ariano.

§ 3. Ed eziandio per questa causa attrae a sè la nostra attenzione un'altra consonante, di cui è ancor dubbia la esistenza nell'ario primitivo e fondamentale, ossia il suono 7 (1). Lottner (2) opina essersi il medesimo svolto in quella lingua da cui provennero, a parer suo, come altrettante forme distinte, ma nondimeno in particolar modo affini tra loro, le favelle arie d'Europa. Schleicher non lo volle accogliere nel suo elenco dei suoni della madre-lingua indogermanica, com'egli l'appellava (3). Fick ancora nella seconda edizione del suo Vergleichendes wörterbuch der indogermanischen sprachen (sezione 1, 1870) notò con 7 sei tra parole e radici da lui attribuite all'ario primitivo e fondamentale (4) ma poscia, nelle correzioni ed aggiunte colle quali si chiude la seconda metà della sezione seconda, sostituì al 7 un r (5), dando così a divedere di essersi accostato alla opinione dei due glottologi preaccennati. E nell'opera già mentovata Die ehemalige spracheinheit der Indogermanen Europas (Göttingen, 1873) si fece senz'altro a sostenere la tesi del Lottner, considerando il 7 come uno dei caratteri che, secondo lui, c'inducono a credere nella esistenza di una unità glottica europea e la discernono dalla indo-eranica (6): della quale opinione avremo a discorrere

(1) Intorno al r ed al I fisiologicamente considerati v. Sievers, Grundzüge der lautphysiologie ecc., pp. 50-6.

(2) Über die stellung der Italer innerhalb des indoeuropäischen stammes (Zeitschr. f. vgl. sprachforschung, VII, 18-49, 161-93).

(3) Compendium ecc., pp. 10 e 168 (pp. 1 e 87 della nostra versione). Pp. 175-6.

(4) V.

(5) V. p. 1066; così eziandio nella terza edizione del Vergleichendes wörterbuch ecc.

(6) V. VI Die gemeinsam-europäische entwicklung des 1, pp. 201-61.

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nella parte seconda di questo nostro lavoro. Il consonantismo, com'egli si esprime, delle lingue arie di Europa si distingue da quello delle affini favelle dell'Asia mediante il ricco svolgimento del 7 comune a tutte le prime, mentre la madre-lingua aria ed il periodo indo-eranico non conoscono ancora questo suono ed in luogo di esso ci porgono sempre il r, onde hassi a credere nato il 7 europeo. Il sanscrito meno antico ci offre con mediocre frequenza il suono per lo più nelle medesime radici e parole che nei linguaggi europei lo posseggono: nè meno, prosegue il nostro autore, il 7 si diffonde nello eranico, ma solo in epoche assai più tarde. Alle favelle di questa famiglia nella età loro più antica che noi conosciamo, vale a dire ai linguaggi dell'Avesta e delle iscrizioni cuneiformi, il 7, giusta Fick, è del tutto ignoto. Per ammettere ch'esso esistesse nel periodo della unità indo-eranica converrebbe supporre che andasse perduto presso gli Erani dopochè questi si furono divisi dagli Indiani: ipotesi certamente non assurda, ma sommamente inverisimile e non possibile a dimostrarsi, perchè nel resto i sistemi fonici dell'antico indiano e dei vetusti idiomi eranici sono strettamente affini tra loro nè differiscono l'uno dall'altro per la perdita totale di suoni primitivi e comuni,. ma solo per isvolgimenti, per trasformazioni di alcuni fra essi; oltracciò le lingue più che a perdere suoni antichi sono disposte a procacciarsene nuove modificazioni per poter esprimere, con esse, differenze di significati. S'aggiunga che nel linguaggio vedico, ossia nella forma più antica a noi nota dello indiano, il 7 appare solo nello inizio del suo svolgimento e che molte radici, le quali più tardi nel sanscrito hanno 7, suonano nel vedico ancora con r. Non essendo lecito supporre che, sino dalle origini, siano esistite forme doppie, le une con r, le altre con 7, per le medesime radici e potendosi in ognuna di tali forme dimostrare che il 7 è

una trasformazione di r, vuolsi in esse tutte considerare' come primitivo questo ultimo suono e non mai l'altro. E quindi il Fick si fa ad accennare parecchie voci nelle quali al solo caso giudica doversi attribuire la concordanza del sanscrito e degl'idiomi arii di Europa nella sostituzione del suono al che reputa il primitivo. Ammette esistere sette parole che sul campo indiano e sullo europeo si corrispondono nel del suffisso senza che si possa additare accanto all il più antico r: ma, quand'anche le riconoscessimo come forme primitive, non saremmo ancora punto astretti a reputarle fornite di 7 già nel proto-ario; potremmo a miglior diritto supporre che in questi casi a noi siano giunte solo le forme sanscrite meno antiche con 7, mentre le arcaiche con r andarono per avventura perdute. Nessuno, conchiude il Fick, da queste parole trarrà una prova della primitività del suono 7. Al più si può ammettere che nel proto-ario il non sia stato pronunziato sempre uniformemente, ma in alcuni casi con suono vicino al 7, soprattutto in fine di radice e nei suffissi. Ma certamente il 7, come suono ben distinto da r, non può venire attribuito nè alla. grande unità aria nè alla indo-eranica: esso si è svolto, separatamente, nel sanscrito, nelle lingue eraniche meno antiche, nella lingua fondamentale europea. Tutti gl'idiomi arii di Europa s'accordano nella trasformazione dir in 7; solo il greco e lo slavo qualche volta hanno dove negli altri linguaggi si conserva inalterato il: tra i molti esempii citati dal Fick non accenneremo se non laghu [leggiero], li [lat. linere], lik [lasciare], ligh [leccare], lip [ungere], luk [rilucere], lug [rompere], klu [udire]. Inoltre vuolsi avvertire che gli Europei si valsero del mutamento di in 7 per significare nuovi concetti, affini a quelli rappresentati dalle forme più antiche con r: ovvero, se tali forme avevano un senso molto esteso, questo si divise sì che parte

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